Gli scarti della birra diventano Biochar per riequilibrare il cambiamento climatico
Attenzione: comunicato passato
Del maiale non si butta via niente… e della birra? Se non ne siete al corrente, il processo produttivo della nostra bevanda genera numerosi scarti, che spesso vengono riutilizzati nell’ottica di una razionalizzazione delle risorse e un contenimento dei costi.
Fare birra è un'attività assai dispendiosa in termini di materie prime (soprattutto acqua) ma si possono rintracciare piccoli esempi virtuosi, più in senso gestionale che etico, con i quali ristabilire un minimo di equilibrio.
Le nuove tecnologie di cui vi andremo a parlare in questo articolo sono state sviluppate e testate nell’ambito del progetto Birraverde della Rete Rurale Nazionale. Il CREA ha deciso di sposare i principi dell’economia circolare, ritenendola uno strumento fondamentale nella lotta ai cambiamenti climatici.
Acqua di processo, trebbie, lieviti esausti e altri scarti di produzione della birra possono essere riutilizzati per produrre pellet e carbone vegetale (biochar). A ideare soluzioni innovative per il recupero degli scarti della birra è stato il Consiglio per la ricerca in agricoltura.
Grazie alle nuove soluzioni è stato possibile recuperare fino al 90% delle materie prime utilizzate nel processo produttivo della birra. Le trebbie essiccate sono state usate per produrre pellet con cui generare calore da reimpiegare nel ciclo produttivo della birra.
Un’analisi chimica effettuata dai ricercatori del CREA ha svelato il potenziale energetico delle trebbie, materiali ideali per la produzione di biocombustibili per via dell’alto contenuto di carbonio e idrogeno. Questi due elementi conferiscono agli scarti della birra un elevato potere calorifico.
Il CREA in una nota ha sottolineato i vantaggi dell'adozione della tecnologia nei micro-birrifici. I produttori di birra artigianale possono infatti risparmiare sui costi del pellet. I benefici economici sono marcati anche quando l’impianto è utilizzato solo 160 ore all'anno.
Le trebbie disidratate e pellettizzate possono inoltre essere reimpiegate nella produzione di biochar (carbone vegetale). La conversione avviene in un reattore che sfrutta un processo termochimico di pirogassificazione.
Questa tecnica è a bassissimo impatto ambientale perché genera una quantità di rifiuti prossima allo zero. Il biochar può essere utilizzato come ammendante agricolo per ridurre il fabbisogno di acqua e di fertilizzanti dei terreni.
Tra i vantaggi ambientali del carbone vegetale figura l'alta capacità di stoccaggio della CO2. Come illustrato dal CREA:
il biochar non viene degradato dai microrganismi presenti nel suolo, favorendo così lo stoccaggio del carbonio nel terreno, evitandone quindi il ritorno in atmosfera sotto forma di CO2 (come nel caso dei residui di potatura).
Il biochar, pertanto, risulta carbon negative, in grado cioè di sequestrare più carbonio di quanto ne emetta per produrre energia (ad ogni kg di biochar prodotto corrispondono 3 kg di CO2 sottratti dall'0atmosfera).
Queste sue peculiarità hanno fatto sì che venisse inserito nell’agenda dei prossimi negoziati internazionali sui cambiamenti climatici come strategia di mitigazione del cambiamento climatico.
Il Crea è attualmente impegnato in ulteriori prove per la caratterizzazione del biochar ottenuto e il suo impiego in agricoltura.
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